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Sito creato con la collaborazione dei corsisti del Comune di Carbonia nell'ambito del progetto "Sardegna 2000"

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IL COMPARTO CARBONIFERO
IL COMPARTO CARBONIFERO

Miniera di Serbariu.

Miniera di Serbariu.

Azienda Carboni Italiani.

Foto: Pippia Salvatore
Foto: Portas Pinuccia
Foto: manifesto dell'Azienda Carboni Italiani

Il comparto carbonifero1 .

Per quanto riguarda il comparto carbonifero si può dire che fino al 1947 il carbone Sulcis potè godere di un prezzo politico, cioè più basso dei costi d'estrazione. Questo si ebbe in seguito ad un provvedimento preso dall'Alto Commissariato per la Sardegna nel 1945, che ne fissava il prezzo 2 .
In questo modo la produzione post-bellica riprese con un forte ritmo comportando anche un aumento degli occupati nel bacino carbonifero e un incremento demografico del comune di Carbonia.
Nel 1947 si aprì la crisi del settore carbonifero con la liberalizzazione dei mercati e l'arrivo in Italia di carboni esteri più economici 3 .
In questa situazione, la produzione subì una forte contrazione e la SMCS cominciò ad accumulare passivi in bilancio ai quali dovette rispondere con la ristrutturazione, non essendo stata varata una seria politica mineraria nazionale.
In questa prima fase della crisi vennero studiate delle strategie volte a rendere più competitivo il prodotto carbone sui mercati nazionali e internazionali.
In questo periodo, vennero elaborati i grandi progetti sul carbone Sulcis: il piano Levi, il piano Carta e, più tardi, lo studio della Zimmer cui si è già accennato 4 .
Si trattava di tentativi di rendere differenziato il prodotto attraverso la sua utilizzazione carbochimica.
In queste occasioni il blocco di pressione regione-sindacati abbracciò totalmente i piani di valorizzazione mobilitandosi per il loro finanziamento.
Diversi possono essere i motivi per i quali tali piani non vennero finanziati: un motivo può essere rappresentato, come già accennato, dalle scelte economiche fatte dai gruppi di potere operanti all'interno del governo centrale, tendenti a favorire certi settori economici, piuttosto che altri (predefinendo, cioè, il ruolo che dovevano avere nello sviluppo economico italiano del dopoguerra). Alcuni autori hanno visto una linea tendente alla smobilitazione delle miniere carbonifere patrocinate dal governo centrale, dai gruppi monopolistici nazionali e locali e dalla stessa direzione dell'azienda carbonifera 5 .
Accettando queste posizioni si potrebbe quasi parlare di una crisi pilotata ma si è visto che altri fatti, soprattutto a livello internazionale, hanno sicuramente spinto sull'acceleratore della crisi stessa. Ciò non toglie che, da parte del governo centrale, fosse stata adottata una strategia volta più ad amministrare la crisi piuttosto che a contrastarla.
L'adesione dell'Italia alla CECA nel 1951 e l'applicazione del piano di ristrutturazione delle miniere, nel 1955 6 , portarono ad un ulteriore inasprimento della crisi. In sede internazionale era prevista la ristrutturazione del comparto carbone-acciaio e l'abbandono dei giacimenti minori come il bacino del Sulcis.
In questa fase l'azienda carbonifera si orientò verso il contenimento della produzione e il ridimensionamento degli organici. Si assistette, così, ad una forte flessione della produzione.
Le strategie adottate dall'azienda nella gestione della manodopera furono: i licenziamenti, la destinazione ad attività alternative e le superliquidazioni per la cessazione volontaria del lavoro.
La flessione occupativa nel settore carbonifero fu enorme se si considera che nel 1947 le unità lavorative erano pari a 17.200 unità mentre nel 1957 erano scese a sole 5.351, praticamente una diminuzione del 68,88% in dieci anni.
Nel 1959 il governo centrale decise la costruzione di una supercentrale termoelettrica funzionante con carbone della capacità di 500.000 KWh, localizzata nell'area di Portovesme 7 . Non vi è dubbio che tale decisione, venne presa in vista dei futuri interventi per la creazione del Nucleo di Industrializzazione del Sulcis-Iglesiente. I lavori di costruzione di tale centrale cominciarono nel 1960, per concludersi nel 1966 con la sua messa in opera.
Un evento importante che interessò il comparto carbonifero fu lo scioglimento dell'ACaI e il passaggio della Carbosarda all'ENEL nel 1964 8 . Questa annessione fu dovuta al fatto che nel piano di nazionalizzazione delle aziende elettriche rientravano anche le imprese aventi una concessione mineraria per la produzione di energia elettrica 9 . Da sottolineare che tale passaggio fu accompagnato, e in un certo senso favorito, dalle pressioni sul governo centrale attuate dalla mobilitazione sindacale e operaia da una parte e le pressioni della Regione Sarda dall'altra, pressioni effettuate soprattutto per le modalità di passaggio degli operai ex-SMCS all'ENEL 10 .
La gestione ENEL delle miniere carbonifere sembrerebbe confermare l'idea che la smobilitazione delle stesse fosse una precisa scelta. Difatti si può considerare come segnale determinante la questione della centrale termoelettrica. Tale centrale progettata inizialmente per il funzionamento con carbone Sulcis, funzionò inizialmente solo con nafta (siamo alla fine degli anni '60 e l'installazione della petrolchimica in Sardegna era ormai una realtà) e successivamente con carbone importato.
Durante la gestione ENEL, l'attività dei pozzi venne praticamente ridotta alla sola manutenzione tanto che, nel 1972, furono interrotte tutte le attività produttive in quanto l'ENEL aveva rinunciato alle concessioni di Seruci e Nuraxi Figus 11 .
Questo sembra essere il punto più basso toccato dalla crisi del settore carbonifero.
In questo periodo il gruppo di pressione composto da Regione e sindacati non rimase immobile. La Regione, tramite l'EMSa, incaricò, nel 1971 l'"Elettroconsult" di Milano di realizzare uno studio sulla gassificazione del carbone Sulcis 12 .
Tali pressioni vennero recepite anche dal governo centrale tanto che, nel 1975, il CIPE inserì nel piano energetico nazionale un progetto di riattivazione del bacino carbonifero del Sulcis 13 . Sarebbe interessante conoscere le motivazioni che portarono a ritenere degno di attenzione il bacino carbonifero. Si può solo ipotizzare che le considerazioni di ordine sociale e di controllo politico ebbero un ruolo importante. E' possibile, inoltre, che questo nuovo interesse per il carbone Sulcis fosse stato determinato dallo shock petrolifero del 1974 che rendendo meno convenienti i combustibili di derivazione petrolifera rinnovò l'interesse per le fonti energetiche alternative al petrolio.
Comunque nel 1976 fu creata la "Carbosulcis Spa" con il compito di gestire tutta la fase di estrazione del carbone. Questo rappresentava il primo passo verso la riattivazione del bacino carbonifero 14 .
Cominciò così il periodo di gestione della Carbosulcis caratterizzato da una incertezza di fondo: la destinazione del carbone prodotto. Infatti da una parte i progetti di gassificazione del carbone cominciarono ad essere discussi e dall'altra si discusse della realizzazione di una o più centrali termoelettriche in grado di funzionare utilizzando il carbone Sulcis (il problema principale, in questo caso, era rappresentato dall'abbattimento dei composti solforati).
Nel frattempo la gestione delle attività minerarie sia carbonifere che metallifere, passò, in parte, sotto il controllo dell'ENI. L'ente statale risultò, negli anni '70, molto presente nelle attività di sviluppo industriale della Sardegna prime fra tutte la chimica e la petrolchimica.
Se la Carbosulcis sembrò partire con buoni propositi come corsi di formazione per il personale da assumere (si profilarono nuove assunzioni per integrare l'organico) e nuovi impianti per l'estrazione e la lavorazione del carbone, la realtà sarà ben differente. Le miniere di Seruci e Nuraxi Figus continuarono a prepararsi in attesa della commercializzazione del carbone Sulcis.
In realtà la Carbosulcis venne considerata come una società assistita nata al solo scopo di mantenere un certo numero di posti di lavoro più costosi che produttivi. Questo avvenne soprattutto perchè non si arrivò ad una fase di produttività a regime ottimale che avrebbe permesso l'avvio di economie di scala e l'uscita dal passivo della società.
Oltre ai lavoratori direttamente impiegati nel processo di produzione del carbone, la Carbosulcis alimentava un indotto di piccole imprese satelliti operanti nei settori dei servizi. Queste piccole imprese uscirono di scena con la liquidazione della società e il ritorno alla situazione di stand-by in tempi recenti.
Una gestione di questo tipo, ossia di conservazione e non di promozione della ricerca e della produzione, non poteva che generare diseconomie e perdite di bilancio che l'ENI accumulerà negli anni della sua gestione in tutto il settore minerario.
In questo periodo l'utilizzazione produttiva del carbone venne collegata alla possibile costruzione di centrali termoelettriche da parte dell'ENEL, funzionanti con carbone Sulcis. Il problema principale era dato dal contenuto in zolfo del carbone. Questo sarebbe stato abbattuto mediante l'elevazione dei camini e l'adozione di appositi filtri. Inutile dire che anche questi progetti di utilizzazione restarono lettera morta anche per l'affermarsi di nuovi progetti che rilanciarono i procedimenti di gassificazione in quanto più convenienti e meno inquinanti.
La situazione attuale vede le miniere al centro di un'asta internazionale dove alcune holding multinazionali sono state invitate a presentare un'offerta consistente in un pacchetto integrato che riguardi un ciclo completo di estrazione e utilizzazione del carbone Sulcis per la produzione di energia elettrica. Questa forma è sembrata la più conveniente in termini di utilizzazione del carbone e di occupazione e se verrà attuata potrebbe generare una certa domanda, visto che il prodotto finale è rappresentato dall'energia elettrica ossia un prodotto che, se risulta conveniente dal punto di vista economico, non ha sicuramente problemi di mercato.